L’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione”.
Pilastro delle nostre democrazie è posto a tutela anche delle idee contestatarie, marginali o radicali, finché restano nei limiti di legge, è chiaro.
Non si vietano le idee, le associazioni, non si punisce chi la pensa diversamente. Non nella cultura occidentale, per fortuna.
La libertà di espressione non tutela solo le idee largamente condivise e che non danno fastidio a nessuno, ma mira a tollerare la libera espressione proprio di idee diverse, che suscitano polemiche, dibattito, scambio di inevitabili diversità.
Se così non fosse vivremmo in un mondo pieno di persone ma senza alcuna vita, personalità o impronta.
Viviamo nel regno del pregiudizio, nel quale ci muoviamo andando a sbattere continuamente contro stereotipi e schemi chiusi che ingabbiano la mente.
Il pregiudizio fa parte della nostra identità, imprescindibilmente. È il frutto dei luoghi in cui siamo cresciuti, delle relazioni vissute, delle persone incontrate, dei libri letti e non, della musica ascoltata e delle scuole frequentate.
È la nostra identità, non la verità. È la nostra opinione.
Come liberarsene? Favorendo il dialogo, il confronto, ammettendo che esiste la possibilità che c’è chi la pensa in modo diverso e che forse può anche insegnarci qualcosa.
La “libertà di espressione” non deve essere un alibi per coloro che, nascosti nella trincea chiamata “opinione”, lanciano granate di offese e umiliazioni. Non funziona così.
Non bisogna credere che tutto ciò che avviene nei limiti della legge è concesso, perché c’è una legge sovrana che non conosce distinzioni, quella del vivere civile.
Una legge sociale che impone lo scambio di idee divergenti e contrastanti usando ciò che appartiene inevitabilmente a tutti: l’umanità.
E magari, un giorno, anche l’empatia.
